Se si è appassionati di cucina, ci sono ricette che prima o poi ci si presenteranno davanti e ci verrà lo scellerato desiderio di provare a replicare. Come il ciclista della domenica di fronte al Pordoi, come il pianista dilettante che si confronta con un’esecuzione epica di un concerto di Rachmaninov, l’appassionato di cucina si trova di fronte a un ventaglio di ricette – e di chef che le hanno create o interpretate elevandole ad arte – leggendarie: il raviolo aperto di Marchesi, la Pavlova, le Cailles en Sarcophage del pranzo di Babette. Sono ricette spesso complesse, che richiedono padronanza delle tecniche e anche una certa ricerca per quanto riguarda gli ingredienti. A volte infatti, sono ricette antiche, che risalgono all’ottocento, e gli ingredienti possono essere difficilmente reperibili, o con caratteristiche di gusto decisamente diverse da quelle dei giorni nostri.
Il mio primo Pordoi è stato il Tournedos Rossini. La leggenda narra che la ricetta sia stata creata dallo chef del Cafè Anglais di Parigi su suggerimento di Gioacchino Rossini, che, curioso di vedere come lo chef stesse preparando il suo piatto, lo assillò talmente tanto che il povero cuoco fu costretto a intimargli “ Et alors! Tournez le dos!” e cioè “E allora! Voltate la schiena!” in francese, successivamente declinato in Tournedos.
La ricetta di per sé non è neanche tra le più complesse, ma servono materie prime di qualità eccellente, e una discreta sicurezza nell’esecuzione e nell’impiattamento, come va di moda dire oggi. In più, la profusione di burro la rende una ricetta decisamente fuori moda rispetto ai gusti moderni, più leggeri e freschi. Eppure, quando la si assaggia, non si dimentica. Io ebbi il piacere di gustarla in un noto ristorante di carne della mia zona. Perfino il cameriere si stupì quando la ordinai, anche perché quasi nessuno conosceva quel piatto, e quando mi fu servito, gli sguardi incuriositi dei commensali dei tavoli vicini mi fecero anche una certa soddisfazione. Mai quanto gustare il piatto, comunque. Se vi va di affrontare la sfida, vi consiglio di prepararne uno per voi in solitudine o al massimo due per una cena romantica, per più persone la ricetta inizia a diventare abbastanza complessa da gestire. Io vi propongo le dosi per due.
Vi servono due filetti di ottimo manzo. No, non quello nella vaschetta del supermercato. Andate da un macellaio come si deve. Lo spessore deve essere di tre centimetri, fateveli legare per tenerli in forma. Prendete due fette di pancarré, e con un coppa-pasta ricavatene due dischi del diametro del filetto o appena più grandi. Rosolate le fette di pancarré in un padellino dove avrete fatto sciogliere del burro, e una volta dorate, mettetele da parte tenendole in caldo. Prendete poi due fette di foie gras, aggiungete un altro pezzetto di burro al vostro fido padellino, e rosolatele velocemente da entrambi i lati, poi mettete anche queste da parte in caldo. Prendete finalmente i vostri bei filetti, riaggiungete un po’ di burro nel padellino – e questo sarà il momento in cui inizierete a capire quanto sia meravigliosamente anacronistica e francese questa ricetta: siamo al terzo giro di burro e ancora non abbiamo finito!- e cuoceteli due minuti per lato a fuoco vivace. Devono essere al sangue. Salateli e pepateli alla fine, e iniziate a comporre il piatto. Per primo mettete il disco di pancarré dorato, adagiatevi sopra il filetto – privato dello spago, per carità! – e infine poggiatevi sopra la fetta di foie gras. Ora arriva il tartufo nero: potete affettarne delle lamelle sottili direttamente sul foie gras, oppure scaldare anch’esse nel fondo di cottura, in modo che si lucidino leggermente, prima di adagiarle sul foie gras. E ora, gran finale! Prendete il padellino, ancora lui, con i bei succhi di cottura che avrà raccolto nei tre passaggi precedenti, aggiungete ancora un pezzettino di burro, mezzo bicchierino di Madera e un paio di mestoli di brodo caldo, e fate cuocere la salsa lavorandola bene con un cucchiaio, in modo che sia ben liscia, salate appena e pepate. Se volete ottenere un risultato strepitoso, sciogliete un cucchiaino di maizena in una parte del Madera e aggiungetela alla salsa a fine cottura: si legherà e assumerà una cremosità vellutata irresistibile. Versate la salsa sui vostri filetti… et voilà! Il vostro piatto da chef è pronto. Potete accompagnare i Tournedos con delle patate arrosto, dei funghi spadellati, o per restare veramente nelle ricette vecchio stile, delle Patate Duchessa.
Quanto al vino, a voi la scelta: alcuni suggeriscono (me compresa) un rosso di carattere, magari un Bordeaux, altri optano per un aromatico Gewürztraminer o addirittura, vista la presenza del foie gras, un passito come il Sauternes.
L’importante, alla fine, è che vi divertiate, e che abbiate sotto mano un buon padellino.
Isabella Lari
“Non conosco una occupazione migliore del mangiare, cioè, del mangiare veramente. L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni”.
Gioacchino Rossini (1792 1868)