1 su 100 ce la fa ( ed è sempre lo stesso)

images Negli anni ’80 iniziò l’epoca delle “rivoluzioni neoliberali” di Reagan negli USA e Thatcher in Gran Bretagna.

Queste teorie si rivelarono cosi vincenti influenzarono anche i politici più progressisti come Tony Blair e prima ancora Clinton. Il risultato fu che la disuguaglianza, che diminuì  in maniera costante dagli anni 50, a partire dagli anni 80 invertì la tendenza ( per fare un esempio il manager di una grande industria 40 anni fa  in america aveva un reddito pari a 30 volte quello di un suo dipendente, attualmente il rapporto è 1 a 300)

Nemmeno la crisi ha invertito questa tendenza nonostante abbia avuto una origine finanziaria e i primi accenni di ripresa hanno favorito sopratutto i capital gains.
Il premio Nobel per l’economia  Stiglitz  sostiene da sempre come la concentrazione del reddito e della ricchezza in poche mani abbatta la domanda interna, perché la propensione al consumo dell’1% più ricco è molto inferiore a quella dei percettori dei redditi più bassi; una domanda più bassa significa disoccupazione, «a meno che non accada qualcosa come un aumento degli investimenti o delle esportazioni» ( d’altra parte in questo periodo pare proprio che la speranza di crescita del nostro paese sia  legata al fatto che l’economia negli altri paesi cresca e tiri le nostre esportazioni)

E’ interessante notare come, secondo alcuni studi, la riduzione dal 20% al 15% della quota di reddito nelle mani dell’1% più ricco della popolazione farebbe crescere la domanda aggregata di un punto percentuale con aumenti notevoli nell’occupazione ( diciamo un aumento di un paio di punti in percentuale).

La domanda che ci si può porre allora è perché se questa situazione favorisce solo una strettissima minoranza non si riesce neppure in una situazione di crisi come l’attuale a cambiarla?

Secondo Stiglitz la risposta va cercata nell’enorme crescita della capacità di influenza del potere economico sulle scelte politiche. Ad esempio la possibilità delle grandi imprese di spendere somme molto elevate per sostenere le campagne elettorali «ha rappresentato una pietra miliare nel processo di esautorazione dei cittadini americani». Questo potere opera sia scegliendo e imponendo i candidati e i temi di discussione sia imponendo quella che Stiglitz definisce una esautorazione della classe media e quindi una  disillusione di massa.

Questa analisi è centrata sulla situazione degli Stati Uniti ma negli ultimi decenni l’Italia ha registrato livelli di disuguaglianza analoghi a quelli degli USA.

La domanda che viene da porci è: le discussioni che avvengono in Italia per esempio su tasse e riforme elettorali vanno in direzione di maggior uguaglianza e partecipazione? Quindi aiutano a uscire dalla crisi?

 

Approfondimenti

Branko Milanovic, Chi ha e chi non ha. Storie di disuguaglianze, il Mulino, Bologna 2012),

Joseph Stiglitz, Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro Enaudi 2013

 

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