Sono momenti difficili.
E’ inverno, siamo in mezzo a una pandemia di cui a malapena intuiamo all’orizzonte una possibile soluzione, c’è crisi economica… lo sapete.
C’è bisogno di conforto e di coccole, di qualcosa di facile da preparare, e che dia quell’immediata
sensazione di abbraccio dolce e caldino, che scaldi la pancia su fino al cuore, lasciando in bocca un po’ di dolcezza e serenità.
Una di queste coccole che possiamo concederci è la mela cotta. Ora non venite a tirarmi fuori la storia della mela cotta dell’ospedale perché quella non è ascrivibile alla categoria delle ricette di cucina. Quella è una cosa a metà fra una medicina blanda e un reato contro la Convenzione di Ginevra per la tutela dei diritti umani.
La mela cotta di cui vi parlo io richiede amore e qualche altro ingrediente oltre alla mela stessa.
In casa mia, fra l’altro, da anni è in corso una lunga diatriba riguardo al fatto che nessuno sia in grado di replicare le “mele-cotte-come-le-faceva-il-nonno-Piè”, cioè il mio nonno paterno, marito della nonna delle penne saltate di cui vi ho già raccontato. Noi nipoti tentiamo – inutilmente, ormai è assodato – di replicarle, ma manca sempre qualcosa. Il sospetto è che più che di ingredienti si tratti di pennellate di affettuosi ricordi che insaporiscono sempre i piatti cucinati da chi non c’è più, ma nonostante questo, il dibattito ogni tanto si riaccende. Per quel che mi riguarda, le mele cotte del nonno avevano una impagabile crosticina di zucchero attaccata alla buccia, con un sughetto dolce e appiccicoso che ogni tanto era leggermente rosato, perché mio nonno ci metteva un goccio di vino, e se c’era rosso, ce lo metteva ugualmente, dando la buffa colorazione.
La mela cotta nella versione del nonno era quanto mai basica: le mele, una spolverata di zucchero sopra, e una spruzzata di vino, messe belle strette in una di quelle vecchie teglie rettangolari di alluminio, quelle con i manici che ricordano le maniglie dei cassetti, e poi via in forno finché non sono ben cotte, Le metteva così: con la buccia, il torsolo e a volte perfino col gambo. E che delizia la buccia rosolata con la crosticina di zucchero!
Ovviamente, considerata la cupezza dei tempi, si può aggiungere qualcosa in più, per alzare le proprietà “confortanti” della nostra mela.
Quindi, prendiamo le nostre mele, senza sbucciarle, e con un leva-torsoli, tiriamo via la parte centrale, lasciando un buco, e accomodiamole in una teglia dove possano stare dritte, senza il rischio che si inclinino.
Poi prendiamo una ciotola, e mettiamoci dentro – in quantità assolutamente casuale e consona alla nostra necessità di conforto fisico e morale – biscotti tipo petit sbriciolati, noci, nocciole, pinoli, mandorle, quello che troviamo in dispensa, tritati. Amaretti? Vanno benissimo. Scaglie di cioccolato, perché no? Poi un po’ di zucchero, e magari delle uvette bagnate per un po’ in acqua tiepida e un goccio di liquore. Mescolate bene, e riempite il buco del torsolo della mela con questo mix. Aggiungete un bel fiocchetto di burro in cima, una ulteriore cucchiaiata di zucchero sparsa sopra, e bagnate con del vino bianco (o rosso non troppo forte, se volete il mirabolante effetto del sughetto rosa come quello del nonno) e infornate per il tempo necessario perché le mele siano ben cotte, morbide e succulente, più o meno un’oretta dovrebbe andar bene, ma occhio a non farle bruciare o asciugare troppo!
Una volta pronte, mettetene una in una ciotola e affondate il cucchiaino nella polpa morbida e calda. Il mondo non guarirà dai suoi mali, ma almeno lo affronteremo con dolcezza.
Isabella Lari