Due anni fa avvenne il fallimento della municipalità di Detroit. Quando una città fallisce non solo si tagliano i sevizi, anche quelli essenziali (acqua ed elettricità ad esempio), ma si assiste anche ad un esodo della popolazione (si stima un 40 per cento nel caso di Detroit), e all’abbandono del territorio. A Detroit si sono avuti in totale 90mila lotti abbandonati (solo General Motors, Ford e Chrysler hanno abbandonato 60 km quadrati di terreno). Uno scenario che ricorda i film apocalittici degli anni 80 con città abbandonate al loro destino in un medioevo di ritorno.
Eppure in questo scenario è germogliata una esperienza vitale, utile e, viene da dire, anche giocosa come quella degli orti urbani e di comunità.
A Detroit del resto non si partiva da zero.
Già durante la crisi del 1890 il sindaco Hazen Pingree invitò i suoi concittadini a coltivare verdura (soprattutto patate) in tutta la terra disponibile, dai parchi urbani alle aiuole del Comune, per far fronte ai bisogni alimentari di tutti. La comunità composta da molti immigrati europei (irlandesi, tedeschi, polacchi) che avevano nel proprio bagaglio culturale la tradizione dell’agricoltura rispose con entusiasmo. Un programma analogo venne poi replicato durante la grande depressione e per il progetto dei Victory Garden, durante le due guerre mondiali per mandare cibo all’Europa.
Così con la tremenda crisi, che ha portato al suo fallimento, la città ha recuperato la sua tradizione “agricola” . Questa esperienza è però importante non solo perché aiuta a fare economia ma, come ricorda Shea Howell, fondatrice e ora tra gli amministratori del The Boggs Center to Nurture Community Leadership, anche come strategia per creare una comunità. Interessante da questo punto di vista che solo pochissimi orti urbani hanno delle recinzioni.
Ancora più interessante è poi come si fondano diversi approcci. Accanto alle pratiche di buon vicinato (Io ti do un po’ dei miei pomodori e tu mi dai un po’ delle tue melanzane) sta nascendo negli ultimi cinque anni un sistema di mercati contadini di quartiere. A volte sponsorizzati da associazioni non profit o da una chiesa, che lo vedono come un modo per impegnare i ragazzini e fargli guadagnare anche qualcosa.
Così la chiesa ha il suo orto, i ragazzi ci lavorano e mettono su una bancarella coi loro prodotti ).
Nel Mercato Orientale, il mercato ufficiale, c’è perfino una sezione chiamata ‘Coltivato a Detroit’. Viene tutto da orti locali, principalmente con dei giovani alla vendita.
Il sindaco Hazen Pingree ha messo in campo una collaudata macchina a supporto del suo progetto. Le procedure per l’affidamento dei suoli sono state rese molto snelle e facili, e il comune ha perfino offerto ai cittadini interessati una “Guida alla lavorazione dei terreni”. Ovvero un programma che insegna le tecniche per trasformare gli spazi liberi in orti coltivati, e anche come risparmiare acqua per le coltivazioni.
Attualmente negli orti comunali della città americana si producono 200 tonnellate di frutta e verdura fresca ogni anno e anche il regime alimentare dei residenti-coltivatori è modificato: loro mangiano 2,5 porzioni al giorno in più di frutta e verdura rispetto ai vicini di casa, e si avvicinano ai canoni della dieta mediterranea. La storia di Detroit, dove intanto sono nate anche 45 fattorie scolastiche, è diventata un modello per tutta l’America, una lezione su come trasformare la Grande Crisi in Grande Opportunità e l’Ente per la protezione dell’Ambiente propone Detroit e i suoi orti urbani come un format per le città dove ci sono problemi di inquinamento.