Chi segue il blog sa che uno degli argomenti di maggior interesse è quello dello sviluppo e della sua misurazione soprattutto rispetto agli indicatori alternativi al PIL.
Come diceva Kennedy il PIL misura tutto quello che non è importante.
Naturalmente però sotto un certo livello di reddito e la ricchezza non si possono soddisfare i bisogni primari e dunque non c’è spazio per le cose che Kennedy definirebbe importanti.
Un mese fa è uscito lo studio dell’OCSE dove veniva evidenziato come in Italia, l’1% della popolazione detenga il 14,3% della ricchezza nazionale netta, cioè la somma degli asset finanziari e non meno le passività: il triplo rispetto al 40% più povero che possiede appena il 4,9%.
Sono poi possibili ulteriori analisi che, per brevità, qui si risparmiano che comunque dimostrano come sempre più i più ricchi diventano ricchi a discapito del resto della società.
Un processo non solo italiano tanto che Angel Gurria ( segretario Generale dell’OCSE), nel corso della presentazione del rapporto a Parigi ha denunciato come Il divario tra ricchi e poveri nei 34 paesi dell’area Ocse non è mai stato così alto. Il 10% più ricco della popolazione dell’area Ocse ha un reddito di 9,6 volte superiore al 10% più povero. Tale «forbice» era di 7,1 volte negli anni Ottanta e di 9,1 volte negli anni Duemila.
Numerosi articoli si sono occupati di questo studio come se il dato fosse inatteso o sorprendente e non il normale andamento dell’ economia capitalistico, finanziaria ( basta ricordare la denuncia del premio nobel Joshep Stiglitz di come negli Stati Uniti i grandi manager guadagnino 300 volte più della media dei dipendenti, mentre 40 anni fa “solo” 30 volte di più. E , aggiungerei, non ostante abbiano creato le condizioni per una crisi economica epocale)
D’altra parte lo studio della Banca d’Italia del 16 dicembre 2014 “La ricchezza delle famiglie italiane” o lo studio Istat del 2013 sul benessere degli italiani erano chiarissimi sulla nostra situazione.
Si legge nello studio di Banca d’Italia “In Italia i 10 individui più ricchi posseggono una quantità di ricchezza che è all’incirca equivalente a quella dei 3 milioni di italiani più poveri [Cannari e D’Alessio 2006]; ciò esemplifica il divario che anche in un paese sviluppato come il nostro separa i ricchi dai poveri. “
Se si preferisce invece possiamo ricordare come, sempre negli studi di Banca d’Italia, il 10% delle famiglie più ricche abbia più del 46% della ricchezza Nazionale.
Si parla di ricchezza non di redditto. La distribuzione del redditto diciamo è meno ingiusta. Per intenderci nello studio Istat ( aprile 2013) si parla di un indice di Gini per la ricchezza pari 0,62 e di 0,31 per il reddito ( indice =0 la grandezza è perfettamente distribuita =1 la grandezza è concentrata al massimo). Tradotto il 20% della popolazione più ricca ha un reddito 5,6 volte superiore al 20% più povero.
Interessante poi anche quello che si legge nelle conclusioni di Banca d’Italia “Nel caso della ricchezza, si aggiunge la circostanza che – secondo le misure disponibili – essa non sempre appare legata alle scelte e ai comportamenti degli individui; spesso dipende da fortuna e da altre circostanze. La percezione di un’ampia evasione fiscale che caratterizza il nostro paese [Cannari e D’Alessio, 2007b] tende anch’essa a ridurre la legittimità della disuguaglianza.”
A fronte di questa situazione possiamo riflettere su che senso abbia in Italia entusiasmarci per una crescita del PIL dello 0,3% che tra l’altro non significa maggior occupazione e dunque maggior reddito per le famiglie.
Un’altra riflessione siamo proprio sicuri che la macchina ( il sistema economico attuale) possa essere rimessa in moto e fatta funzionare in modo soddisfacente? Forse non sarà i caso di sostituirla cioè di passare dal modo di pensare e agire degli ultimi 40 anni a modelli alternativi?