In vista della presentazione a Lucca nella sala della provincia di venerdì 19 dicembre pubblichiamo una breve recensione al testo di Antonino Bove
Leggere L’arciere, come del resto la precedente monumentale e coinvolgente opera
Pâris Prassède, nonché i poderosi romanzi che formano la struttura portante della
narrativa di Giancarlo Micheli, è come trovarsi di fronte a vasti affreschi parietali
della cattedrale dell’umanità e del tempo.
I grandi temi della vita e della morte, i paesaggi urbani e naturali, i caratteri e le
fisionomie umane, gli accadimenti economici e sociali sono presi in esame
dall’autore, analizzati e descritti con estrema attenzione, precisione e cura. Il registro
linguistico narrativo è caratterizzato da termini colti, da periodi ampi che scandiscono
un ritmo classico, tanto da ricordare scrittori come Flaubert e Elias Canetti. Con stile
ora naturalistico, ora ironico, Giancarlo Micheli delinea situazioni e caratteri di
un’umanità reale e immaginaria come è rappresentata dal pittore fiammingo
Hieronymus Bosch in certe pale d’altare, formicolanti di eccessi e di tormenti.
Un’umanità che precipita, inconsapevolmente o volutamente, nei gorghi
dell’alienazione sociale ed economica capitalista o nei vortici silenziosi della follia e
del delirio.
Viziati, come lettori, dallo stile giornalistico sintetico, spesso superficiale, ci siamo
allontanati dai prodigi espressivi della grande letteratura. All’inizio della lettura, le
pagine di Micheli ci risultano esotiche per il loro indugiare su dettagli
apparentemente secondari, per l’uso di una terminologia ricercata e parole rare. Ben
presto ci rendiamo conto che l’autore, con tale metodo, ha conferito alla narrazione
un respiro ampio, unico e profondo. Proprio questa qualità fa di Micheli uno scrittore
controcorrente e singolare nel panorama della ipertrofica produzione letteraria
attuale.
L’Arciere e altri racconti per le morti violente e oscure delle quali si parla non è un
libro ascrivibile al genere “giallo”. Quanto vi accade è un pretesto per rappresentare,
con caustiche pennellate, tipologie umane cariche di simboli; descrivere miserie
psichiche e fallimenti esistenziali che sono poi il tessuto della storia umana.
Considerato che la mia è una formazione attinente alle arti visive, scorgo un’altra
vicinanza tra la narrativa di Micheli e la pittura di satira politica di George Grosz.
Certe descrizioni di paesaggi desolati o di personaggi in preda a fraintendimenti
morali, alcuni foschi cromatismi linguistici e immagini da teatro della catastrofe
potremmo apparentarli alla pittura tedesca detta della “Nuova oggettività”, della quale
Grosz era il protagonista.
L’opera narrativa di Micheli emana una lucida passione etica contro l’ipocrisia del
potere politico ed economico. L’autore dell’Arciere ci offre una prosa nobile ed
elegante come antidoto al disorientamento verso il senso dell’accadere, all’indebolirsi
della solidarietà umana, al caos incontrollabile che stiamo vivendo.
Oltre che un’elevata qualità letteraria, nella narrativa di Micheli troviamo una
esplicita forma di impegno politico e civile; una critica e una condanna ai poteri forti,
artefici di una possibile futura apocalisse. La scrittura di Micheli è in antitesi al
servile atteggiamento della maggioranza degli intellettuali, proni agli interessi
dell’editoria, del mercato librario e della critica accademica.
L’Arciere è uscito il 30 ottobre, per le edizioni Effigie
Antonino Bove (Borgetto, 7 dicembre 1945) è un artista italiano, esponente del postumanesimo artistico. Nel 1967 frequenta l’Accademia di belle arti di Firenze dove è allievo di Primo Conti.
Dalla prima metà degli anni ‘60 inizia a lavorare con la macchina fotografica, producendo stampe e assemblaggi di immagini, scritture e impiegando nella pittura materiali quali cera, catrame, garze, pigmenti vari, ma anche oggettistica e vetro, dando forma a opere investite da una poetica immateriale, psicologica, metapsichica. Tale orientamento si qualifica nel decennio successivo con ricerche di etno-antropologia caratterizzate da interessi sociali, politici e storici, aperti tuttavia alla sfera mistica, utopica, analitica che non disdegna incursioni nell’alchimia, come pure nel sogno. L’ampia area di interessi e azioni che si svilupperà dalla seconda metà degli anni ‘70 fino agli anni ‘90 riguarda la sfera temporale e psichica del sogno.
Ma il campo di studio che maggiormente ha sempre affascinato l’artista siciliano è il progetto artistico utopico di salvare l’uomo dalla morte fisica, e con lui l’universo stesso.