Dopo una settimana di fuoco animata dalle contestazioni nei confronti del Ministro
Valditara e del governo Meloni, in merito all’intenzione di rimuovere l’educazione sessuale
dalle scuole, finalmente il ministro dell’Istruzione e del Merito è intervenuto per “fare
chiarezza” (una locuzione talmente abusata da risultare quasi fastidiosa).
Valditara ha chiarito che l’opposizione, durante questi giorni, non ha fatto altro che mentire,
supportata da “intellettuali paludosi”. L’educazione sessuale è stata conservata nelle scuole
così come prevista dai programmi scolastici per i vari gradi di istruzione, ed essa prevede:
<<[…]Scuola dell’infanzia: conoscere il corpo umano e le principali differenze fra i due sessi.
Scuola primaria: riconoscere le parti principali del corpo umano nei suoi diversi organi
apparati. Acquisire le prime informazioni su riproduzione e sessualità. E poi ancora,
conoscere gli elementi fondamentali del corpo umano e le funzioni riproduttive. Amici
dell’opposizione, paludati intellettuali, amici dei social, sapete cosa sono le funzioni
riproduttive?
Scuola secondaria di primo grado: comprendere la diversità biologica mettendo in relazione
elementi di base genetica e di evoluzione. Mettere in relazione struttura e funzioni degli
apparati del corpo umano, fra cui anche l’apparato riproduttivo. E poi ancora, approfondire il
rapporto fra scienze e salute, esaminando fattori come lo sviluppo puberale.
Altro che non si parla di pubertà. Conoscere i rischi delle malattie sessualmente trasmissibili.
Quante balle che ho sentito da parte di tanti parlamentari. Si vadano ad informare prima di
chiacchierare>>( 1) .
Cosa salta immediatamente all’occhio? Dovendo tracciare una panoramica, l’educazione
sessuale sembrerebbe ridotta alle funzioni biologiche e alle “funzioni riproduttive”. Ma il
problema, per quanto inconsciamente, viene esposto dal ministro stesso, il quale, in
un’intervista riportata dal tgcom24, afferma:
<<Io vi faccio una domanda: le “funzioni riproduttive” sono o non sono educazione sessuale?
Perché se questa non è educazione sessuale, allora francamente, dobbiamo ripensare
completamente le modalità di esprimere i concetti>> (2) .
Il ministro, forse quasi inavvertitamente, coglie in pieno il punto focale della questione: c’è
un problema linguistico in merito all’educazione sessuale, al sesso e a tutto ciò che ruota
attorno a questo vastissimo ed affascinante mondo che potremmo chiamare sessualità.
Fermo restando che le “funzioni riproduttive” siano educazione sessuale, così come la
biologia del corpo umano e la prevenzione da MST, c’è, anzi, ci sono dei tratti
dell’educazione affettiva che non compaiono nei programmi scolastici presentati dal
ministro, come ad esempio gli studi di genere. Perché si dovrebbe insegnare gli studi di
genere nelle scuole? È una domanda non semplice, ma la nostra contemporaneità che ha in
sé una realtà storica, la quale a sua volta si caratterizza (fortunatamente) per un’ascendente
sensibilità nei confronti della diversità sessuale e per la violenza di genere (3) deve spingerci ad un tentativo di risposta.
In primo luogo, gli studi di genere consentono di acquisire gli strumenti per comprendere il
complesso rapporto che sussiste tra sé e corpo. Ciò permette di sviluppare un’idea di
sessualità che abbia a che fare non solo con l’altro, ma anche con sé stessi, superando il
riduzionismo biologico dei programmi di Valditara che sembrano ridurre l’educazione
sessuale alla fisionomia organica e all’atto meccanico: la sessualità ha, infatti, una
componente emotiva che passa dal rapporto con sé stessi al rapporto con l’altro; e tale sfera
emotiva passa sempre in secondo piano, ma un’educazione emotiva appropriata e ben
calibrata è in grado di costruire un individuo libero e cosciente di sé.
In secondo luogo, gli studi di genere consentono di combattere pregiudizi, luoghi comuni ed
anacronismi a proposito della sessualità. Attraverso un’educazione emotiva e sentimentale
ben strutturata si impara ad accettare l’altro (e sé stessi) nella sua diversità e nella sua
unicità; sono numerosi i casi di bullismo di natura sessuale, sia come discriminazione sia
come violenza fisica, psicologica e sessuale; soltanto educando al rispetto dell’altro è
possibile combatterli.
Si deve ora porre l’accento su un ultimo aspetto dell’intervista del ministro: in essa non
compare mai la parola “consenso”. Ora, chi scrive ritiene che il presupposto per
un’educazione sessuale-affettiva ben formulata debba necessariamente partire da questo
concetto. È necessario che il sistema scolastico educhi i bambini fin dall’infanzia al tema del consenso. Questo è un modo valido di insegnare l’educazione sessuale-affettiva fin dalle
scuole dell’infanzia attraverso una pluralità di metodi interattivi.. Solo che in tale proposta
questo aspetto non compare. Educare al consenso significa: imparare a sentirsi dire “no” e
comprendere quindi che l’altro ha una sua autonomia decisionale, che può porre dei confini:
tutto sta nel rispetto di questi confini.
In conclusione, quando si parla di educazione sessuale si è soliti riferirsi solamente alle
funzioni riproduttive e biologiche, e tale associazione per il ministro Valditara è talmente
naturale che, se così non fosse, dovremmo rivedere le modalità di espressione della lingua
italiana. Ma come si è tentato di mostrare, un’educazione sessuale consapevole va ben
oltre; per cui è effettivamente presente un problema linguistico, benché in senso diverso
rispetto a come lo intende il ministro.
Gli studi di genere non vogliono confondere le alunne e gli alunni, come spesso si può
pensare (e come lo stesso ministro ritiene); anzi, si distinguono per una naturale
predisposizione allo spirito critico nei confronti di sé e del mondo e sono in grado di fornire
strumenti utili in materia di educazione sessuale-affettiva (4).
2 Cfr. Video su https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/valutara-educazione-sessuale_105031621-202502k.shtml
3 È mio dovere, tuttavia, affermare che tale ascesa è maggiormente in auge presso i giovani ma anche timidamente negli adulti.
4 Questa posizione è dunque favorevole anche ad una loro introduzione nei programmi di filosofia
