Com’è bella Budapest di notte

Benvenuti al primo episodio della Rubrica ungherese! All’interno di questa nuova rubrica, che avrà cadenza bisettimanale, racconterò la mia esperienza di vita qui in Ungheria, più precisamente a Budapest.

Lo scorso 7 settembre sono infatti partito per intraprendere un tirocinio presso
l’Ambasciata d’Italia a Budapest. La mia permanenza sarà piuttosto breve, circa tre mesi e mezzo, e si concluderà pochi giorni prima di Natale, giusto in tempo per rientrare a casa e godermi il consueto pranzo natalizio in famiglia. Abbiamo quindi deciso di dare vita a una rubrica diversa dal solito, dedicata a un tema nuovo anche per me: raccontare dall’interno la quotidianità di un’esperienza di vita e lavoro in una capitale europea in rapido cambiamento. In ogni episodio cercherò di condividere le mie impressioni personali, gli incontri con persone del posto e internazionali, e i luoghi che più mi hanno colpito.
Prima di entrare nel vivo del racconto, è bene fare un breve passo indietro. A giugno di quest’anno ho deciso di partecipare al bando promosso dal MAECI, che offre agli studenti di determinate lauree magistrali, come la mia, in Relazioni Internazionali, la possibilità di svolgere un tirocinio presso un’Ambasciata o un Consolato d’Italia all’estero.
Ogni candidato poteva scegliere due sedi: una in Europa o Nord America, e una nel resto del mondo.
Dopo un’attenta riflessione basata, non tanto sulla meta stessa, quanto sul numero di candidati per le varie sedi nei bandi precedenti, le mie scelte sono ricadute su Colombo, nello Sri Lanka, e su Budapest. Considerando che negli anni passati la capitale ungherese aveva comunque un buon numero di candidati, ero convinto che sarei finito dall’altra parte del mondo, in mezzo all’Oceano Indiano dove nessuno aveva avanzato richiesta negli anni precedenti. L’idea di vivere in Asia mi affascinava molto, ma, a quanto pare, non ero il solo: diversi altri candidati avevano avuto la stessa intuizione, e così, a mia grande sorpresa, una mattina di luglio ho scoperto di essere stato selezionato per la capitale sul Danubio.
Da lì tutto si è mosso in fretta: ho trovato un appartamento, prenotato il volo e iniziato a prepararmi alla partenza, o almeno così credevo.

A complicare i piani ci ha pensato il mio tutor della sede, che ha deciso di rimandare la firma del progetto formativo a pochi giorni dalla partenza e rischiando così
di far saltare l’intero tirocinio. Dopo una lunga trafila di mail e solleciti, sono finalmente riuscito a ottenere la firma e, il secondo sabato di settembre, ho preso l’aereo diretto a Budapest.
L’ansia per i ritardi burocratici aveva ormai superato quella per la partenza. Così, più che agitato, mi sentivo semplicemente sollevato di poter partire. Dopo un volo di un’ora e mezza sono atterrato nella capitale ungherese, ho preso un Uber e sono arrivato al mio appartamento situato nel Distretto VIII, il cui nome Józsefváros deriva dall’imperatore Giuseppe II.
La città è infatti divisa in distretti simili agli arrondissement di Parigi. I distretti compongono il livello intermedio della divisione amministrativa della città. Questa, infatti, si divide in tre macroaree: Óbuda (“Antica Buda”), la parte più antica e di origine romana, situata sulla riva occidentale del Danubio; Buda, la città collinare, sede del Castello Reale e dei principali monumenti storici; e infine Pest, situata sulla riva orientale, pianeggiante e più moderna, cuore commerciale e popolare della città e luogo in cui si trova il mio distretto.
Le tre parti della città furono divise per secoli e fu solo nel 1873 che vennero ufficialmente unificate, diventando la capitale del Regno d’Ungheria e la seconda città dell’Impero Austro-Ungarico.
Quest’ultimo lo si respira ovunque nel centro della città. La maggior parte degli edifici fu costruita nella seconda metà dell’800. Molti, per questo, la paragonano a Vienna, nonostante sia completamente diversa, per quanto riguarda le sensazioni che le due città trasmettono.
Quando visitai Vienna nel 2019 rimasi colpito dalla quantità di palazzi imperiali mantenuti in maniera impeccabile, così come dalle vie della città, che non presentavano alcun segno di sporcizia o usura.
Una città perfetta, troppo per i miei gusti.
Budapest, al contrario, è una città che, anche nel centro, fa sentire tutti gli anni di storia che ha vissuto. Gli edifici non sono di quel bianco splendente che quasi riflette il sole come a Vienna, ma tendono a ingiallirsi a causa dello smog, come i denti di un fumatore. Per strada è facile trovare sacchetti dell’immondizia buttati, odore di urina e conati di vomito rimasti dalla sera prima.
Il centro città poi lascia spazio alla periferia, in cui si trovano palazzoni residenziali di stampo puramente sovietico che spezzano in due lo stile architettonico della città. I tram che attraversano Budapest, così come la metropolitana e i filobus, si dividono tra quelli con il riscaldamento interno e quelli in cui, anche con i finestrini chiusi, passa un quantitativo d’aria che sembra di stare a Trieste in dicembre durante la penultima giornata di bora.
I mezzi di trasporto sono tra i più economici ed efficienti che abbia mai provato in Europa: basti pensare che il costo di un abbonamento mensile per studenti e pensionati è di circa 8,6 euro, lo stesso per i genitori di bambini piccoli, a cui Orbán si rivolge con varie politiche per contrastare la denatalità. Ma su questa parte, riguardante la politica ungherese e su come viene percepita da chi ci vive, mi concentrerò nei prossimi episodi. I tram passano praticamente ogni due minuti, così come gli altri mezzi di trasporto, tanto che il tempo di attesa per prenderne uno, qualunque esso sia, non supera i cinque minuti. Anche la notte, alle tre o quattro del mattino, non si rischia mai di rimanere a piedi grazie agli autobus sostitutivi, anche se spesso preferisco farmi una passeggiata quando le
auto smettono di circolare e lasciano spazio al silenzio della città.

Di notte Budapest è illuminata da luci alogene che rendono il paesaggio caldo e avvolgente, donando alla città un filtro giallastro e accogliente. È un po’ come se decidesse di cambiarsi vestito: togliersi gli abiti grigi e austeri del giorno per indossare un vecchio cappotto di camoscio o un Barbour marrone. Una sensazione che si amplifica nella parte collinare, dove i grandi palazzi sono sostituiti da piccoli appartamenti di pochi piani, separati da stradine strette, illuminate da vecchi lampioni in ferro battuto.

Camminando lì, ti sembra davvero di essere tornato indietro nel tempo, e di poter incrociare, girato l’angolo, qualche personaggio con i baffi lunghi e un’uniforme verde, un po’ come in Midnight in Paris, ma in versione magiara.

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