e la quasi secolare ignavia della Chiesa.
Il conclave più social del mondo, durato appena due giorni (immediato come un feed di
TikTok) ha scelto lo statunitense Robert Francis Prevost come 267° vescovo di Roma,
nonostante la pressione mediatica nei confronti del cardinale Matteo Maria Zuppi, il
quale, in una delle sue ultime dichiarazioni, ha precisato che prima del suo pontificato
dovremo attendere la vittoria dello scudetto da parte del Bologna; da fonti non ufficiali
sembrerebbe che le richieste di abbonamenti per il Bologna fan club superino di gran
lunga la disponibilità effettiva.
Il nuovo Papa ha scelto di chiamarsi Leone XIV, decisione che ha spiazzato gli
ascoltatori, fedeli e non fedeli. Personalmente mi sarei aspettato una continuità col
precedente pontificato di Jorge Mario Bergoglio a partire dalla scelta del nome, anche se
lo stesso Leone XIV non ha ancora chiarito le motivazioni che lo hanno spinto a tale
scelta. Sebbene non siano stati rilasciati ancora argomenti ufficiali, nelle ultime ore
sono emerse alcune teorie che hanno cercato di spiegare le ragioni di tale scelta: in
primo luogo, c’è chi ritiene che la decisione del nome abbia a che fare con la politica di
Leone XIII ed il suo legame con l’ordine agostiniano (al quale Prevost appartiene);
un’altra teoria, invece, ritiene che il movente abbia a che fare con una qualche
continuità che Prevost si sarebbe proposto di mantenere a proposito del pontificato di
Papa Francesco: Leone (frate Leone), era il nome di uno dei discepoli più fedeli di San
Francesco d’Assisi.
Al di là della questione del nome, cosa ci si aspetta da Leone XIV? Molti auspicano una
continuità decisa e netta col precedente pontificato. A prescindere da ciò, l’eredità
raccolta da Papa Leone XIV è un’eredità pesantissima e non sarà esente da paragoni
col suo predecessore. Ma tale confronto è cominciato già nei primi momenti in cui il
Papa si è mostrato ai fedeli; un dettaglio che non è passato inosservato è stato
sicuramente aver indossato la mozzetta papale, la stola d’oro e la vistosa croce aurea
da parte di Prevost, il quale ha abbandonato dunque lo stile sobrio di Francesco (che si
era spogliato delle prime due ed aveva optato per una meno appariscente croce
argento, mantenendo soltanto la bianca veste papale), una scelta che non è stata
accolta positivamente all’unisono. Sebbene qualcuno possa non aver apprezzato il
pontificato di Papa Francesco, sarebbe un’ingenuità non riconoscere la popolarità di
cui ha goduto: Francesco era un Papa molto amato e lo era, oltre che per la vicinanza ai
poveri, anche per il suo stile sobrio, sia nel vestire che nel comunicare.
Ma l’abito non fa sicuramente il monaco; infatti, il discorso iniziale di Prevost ed il suo
messaggio universale di pace, una netta e condivisibile presa di posizione nei confronti
delle carneficine che sono in atto, ha inevitabilmente trovato una larga approvazione
(anche se in molti hanno posto l’accento sulla spontaneità, l’informalità e l’ironia delle
primissime parole di Papa Francesco). Poiché il Papa ha manifestato attenzione per
l’attuale situazione storica, è opportuno aspettarsi un impegno attivo rispetto alla
complicata situazione politica che è in atto: c’è chi auspica un ruolo di mediazione e di
presenza da parte della chiesa cattolica di Roma nella risoluzione delle controversie
internazionali; e chi scrive pensa che sia l’unico modo per far sì che la Chiesa rompa
una particolare forma di non expedit che dura ormai da troppo tempo (pensiamo a Pio
XII che mai ha condannato le deportazioni nazi-fasciste e i campi di concentramento), riacquisendo così una prima
forma di riconoscimento anche da parte dei giovani.
Ma chi scrive è un utopista e sa bene che i vecchi problemi della Chiesa, nonostante si
susseguano figure più o meno popolari, rimangono sempre gli stessi, e che tali
problemi sono il motivo per cui le nuove generazioni non riconoscono nella Chiesa
un’istituzione rispettabile (senza contare tutti gli scandali di pedofilia taciuti per troppo
tempo): la Chiesa come istituzione e come dottrina non riesce a stare al passo coi
tempi, o meglio, teme l’avvenire del nuovo mondo e lo condanna senza provare a
conoscerlo. Si pensi alle questioni di genere, alle comunità LGBTQ+, al timore di
instaurare un dialogo col nuovo mondo finendo per chiudersi nella sacralità del dogma.
su quest’ultimo punto sarebbe da chiedersi se il problema siano i giovani, che non vogliono avvicinarsi alla Chiesa, o se sia la Chiesa a non volersi far conoscere dai giovani (magari per una questione di vergogna)
