Fu (o è) vera gloria?

Colpevolmente in ritardo ho recuperato su youtube alcuni interventi dal palco di “una piazza per l’Europa” del 15 marzo scorso.
Un discorso in particolar modo, anzi una frase, ha suscitato la mia attenzione più di altre:
“Socrate, Cartesio, Hegel, Spinoza […] ma chi ce li ha?” (nell’intervento erano citati anche alcuni scrttori, sempre europei, per affinità di materia ho scelto di lasciare citati solo i filosofi e concentrarmi su quelli n.d.r.)
La farse si collocava in un discorso nel quale si voleva sottolineare l’orgoglio e la bellezza di essere cittadini europei, nonché la nostra origine comune, tuttavia quell’espressione finale, il“chi ce li ha” credo ponga qualche problema e mi ha spinto a fare una piccola riflessione su questa presunta centralità sapere occidentale europeo.
In primo luogo credo sia difficile delineare i confini di un sapere europeo occidentale che esclude gli altri, per dare un esempio concreto Tolstoj si formò su opere europee subendo, ad esempio, l’influenza di Rousseau e Montaigne, come mai non potrebbe rientrare all’interno dei pensatori europei?
Una spiegazione potrebbe essere che questa comunanza di sapere venga unita solamente a posteriori, seguendo una linea propagandistica e piegando la cultura a giustificazione di una scelta politica ma è un esercizio rischioso che potrebbe aprire la porta a nazionalismi e teorie di sottomissione dell’altro.
In secondo luogo il sapere occidentale non è un blocco omogeneo, che si autoalimenta. ma da sempre subisce influenze da culture altre. I grandi testi filosofici greci, perduti al termine dell’età classica, furono salvati grazie alle comunità islamiche. Tornarono a noi a seguito dei periodi di occupazione musulmana ma anche tramite scambi culturali. Un altro esempio? la scoperta, dal ‘700, delle culture asiatiche cinesi e giapponesi che ebbe forte presa sull’Europa. Solo per citarne alcuni, Voltaire fu molto interessato alla cultura cinese mentre Schopenauer fu influenzato dai testi sacri indiani dei Veda e gli Upanishad.
Quella che noi chiamiamo cultura europea si è formata dialogando da pari con altre culture, prendendone spunto e arricchendosi dal confronto dell’altro.
Tuttavia sembra essere indiscutibile la maggiore riconoscibilità della cultura europea ed una sua maggiore rilevanza nei dibattiti. Tutti nel mondo hanno sentito parlare di Platone e in Platone si ritrovano teorie che sono ancora oggi in parte valide per spiegare il mondo, quasi nessuno conosce la dottrina dei pensatori cinesi e queste hanno più un carattere esotico che di reale presa sul mondo, la realtà è là per dimostrarcelo.
Qua entriamo in un’altra dimensione ed alla dimensione culturale bisogna collegare la dimensione politica. La cultura europea si è imposta poiché si è imposto a livello dominante il paradigma societario europeo.
Qua sono necessarie due precisazioni, da un lato, a causa della sua storia, l’Europa ha sterminato culture altre imponendo con la forza il proprio modello, sostituendosi a strutture sociali esistenti e talvolta reprimendo una cultura già esistente. Caso emblematico l’incontro con le civiltà americane a seguito della scoperta dell’America. Queste civiltà avevano una loro organizzazione societaria, un loro fulcro di conoscenze, addirittura la civiltà azteca aveva un corpus di opere scritte. La popolazione europea interpretò queste culture come espressioni del demonio e distrusse la maggior parte degli oggetti prodotti e dei testi scritti, schiavizzando le popolazioni e sostituendo all’ordine sociale vigente nel continente un modello societario europeo, reprimendo brutalmente l’espressione di una cultura e di una società altra in nome di una missione civilizzatrice.
Questo modello, emblematico nel caso delle Americhe, si riprodusse spesso anche nelle dinamiche del colonialismo successivo, in cui le forze europee si presentano come portatrici di civiltà, sottomettendo l’altro ed instaurando le proprie regole. Da un lato allora la centralità del modello europeo ha alle sue spalle la repressione diretta di forme alternative di pensiero o di società espresse in altre parti del mondo.
Se questo modello sembra appartenere ad una logica del passato ne esiste uno più subdolo che resiste anche nell’età contemporanea.
Il centro economico del mondo si trova, ad ora, all’interno dei paesi occidentali, conseguenza di questa centralità economica allora è anche la centralità culturale accademica.
Le università più prestigiose e più ricche si trovano nel mondo occidentale e trattano di problematiche relative principalmente occidentali con una lingua che proviene da questo mondo, l’inglese.
Per poter accedere a questi centri allora è necessario conoscere la cultura del quale parlano, la lingua col quale ne parlano ed il modo col quale ne parlano, costringendo di fatto ad un assoggettamento al modello occidentale.
Dunque per ottenere maggiore visibilità studiosi ed università dei paesi denominati come Sud del Mondo dovranno parlare di temi che possano avere risonanza nel mondo occidentale. Difficilmente però, nel mondo accademico occidentale, avrà risalto una ricerca scritta in lingua spagnola sulla cultura indigena. Per questo motivo allora spesso i programmi di studio si allineano a quelli delle università occidentali.
Questo modello inizia ad oggi a scricchiolare e ad essere criticato ma rappresenta tutt’ora una delle ragioni per il quale la cultura europea si pone come superiore ad ogni altra.
Ricollegandosi a quanto affermato in apertura allora è difficile palesare un orgoglio dato dall’esclusività dei nostri pensatori, poiché, da un lato, la loro centralità nasce da contesti di dominazione, politica come economica, e, dall’altro, la cultura stessa non è espressione esclusiva occidentale ma nasce da una contaminazione, da un dialogo tra pari e tra visioni differenti.
Rivendicare una nostra superiorità di pensiero rispetto al resto del mondo rischia allora di astrarre da tutti i processi sociali che hanno portato a questa affermazione di centralità e divenire soltanto acqua per il mulino di propagande nazionaliste sulla superiorità dell’uomo europeo sul resto del mondo, pensiero che è già stato alla base di numerose tragedie storiche e che è oggi necessario rigettare con forza.

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