La Ricostruzione del senso come “processo infinito”

Una delle voci più celebri del panorama poetico italiano del XX secolo è sicuramente Giuseppe Ungaretti. La poetica ungarettiana si compone di densità e struttura le quali vengono apparentemente obliate dallo stile frammentario dei componimenti. L’uso del frammento ha a che fare con la convinzione radicata nel poeta a proposito di ciò che potremmo chiamare <<naufragio del senso>>. Cosa significa questa espressione? È opportuno precisare che questa terminologia non è ungarettiana. Tuttavia, la posizione di fondo che potremmo ravvisare all’interno delle sue opere è quella per cui una verità non si presenta più nella sua evidenza: la ricerca del senso è un sentiero tortuoso che parte dal poeta ed arriva al lettore, nella misura in cui egli è in grado, attraverso una
lettura attenta e meditata, di ricostruire il senso e il significato delle poesie di Ungaretti. Qual è l’implicazione che segue da ciò? Se il senso è ricostruzione del senso, allora il lettore non può che essere un lettore attivo, il quale viene chiamato in causa se e solo se si sente disposto ad instaurare un dialogo col poeta e con la sua opera. Un ulteriore conseguenza si mostra laddove, se si presenta la necessità di un dialogo in cui si danno lettore da un lato e testo poetico dall’altro, allora siamo spinti ad affermare con forza che il testo poetico, al di là di quelle che sono o sono state le intenzioni del suo autore, ci parla, ci parla nello specifico in quanto lettori, in quanto parte coinvolta attivamente nella ricostruzione di un senso, di una verità.
Queste posizioni valgono per un qualsiasi testo poetico nella misura in cui esso, nonostante possa appartenere al passato, sia in grado di continuare a parlarci a prescindere dallo scorrere del tempo.
Esso è un nostro contemporaneo (si veda a tal proposito, il concetto di contemporaneità* dell’opera d’arte formulato dal filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer all’interno del suo Verità e metodo (1960)).
Tuttavia, affinché si dia la possibilità di ricostruzione del senso, noi, in quanto lettori attivi,
dobbiamo approcciarci al testo con la volontà di dialogare con esso; ma dialogo significa anche ascolto: se il testo ci parla, allora dobbiamo impratichirci ad ascoltarlo, solo così possiamo imparare a comprenderlo.
La ricostruzione del senso è fatica, una strada tortuosa e sicuramente non lineare; ma è proprio questo l’intento di Ungaretti e dietro a questa volontà sta probabilmente una biografia travagliata, ma soprattutto l’esperienza della guerra la quale fa sprofondare la poesia nel silenzio. Tuttavia, ciò non significa che non si possa più fare poesia, bensì essa si trasforma, si ritira in sé stessa in quello che potremmo definire un <<desiderio del silenzio>> in contrapposizione al caos e al rumore delle mine, dei fucili e dei proiettili (desiderio che si potrebbe ravvisare nella poesia Natale del 1916).
Tenteremo, attraverso la lettura di una poesia di Ungaretti, di ricostruire il senso di quest’ultima. Volgiamoci immediatamente al testo
Segreto del poeta
Solo ho amica la notte.
Sempre potrò trascorrere con essa
d’attimo in attimo, non ore vane;
ma tempo cui il mio palpito trasmetto
come m’aggrada, senza mai distrarmene.
Avviene quando sento

mentre riprende a distaccarsi da ombre,
la speranza immutabile
in me che fuoco nuovamente scova
e nel silenzio restituendo va,
a gesti tuoi terreni
talmente amati che immortali parvero,
Luce.

Questa poesia non è facile, non è intuitiva, immediata. . Tuttavia insistendo con la lettura, qualche immagine comincia a prendere forma (ciò è un sintomo, sintomo che la ricostruzione del senso è un processo in divenire); ad esempio il primo verso è chiaro: Ungaretti stringe un’amicizia esclusiva
(“Solo ho amica…”) nei confronti della notte. Quest’amicizia sembra caratterizzarsi attraverso una disposizione reciproca all’intimità, la quale consente ad entrambi di passare ore e ore assieme senza che il tempo vada sprecato ed inutilmente perduto. Ma poniamo attenzione al quarto ed al quinto verso: “ma tempo cui il mio palpito trasmetto come m’aggrada…”; è la parola palpito qua la parola poetica per eccellenza; e lo è in maniera del tutto contro-intuitiva. Infatti, “palpito” è una parola legata all’ambito medico e quindi porta con sé un utilizzo tecnico e ben preciso che ha a che fare con la frequenza cardiaca; tuttavia qua, grazie alla forza della poesia, questa parola diventa sinonimo di vita nella misura in cui il poeta, soltanto grazie alla notte, nella sua solitudine con essa, immerso nel silenzio, ritorna in vita secondo le modalità che più desidera (“come m’aggrada”).
La seconda strofa è una strofa costruita volutamente in maniera complessa: la struttura del verso e la presenza di incidentali non garantiscono una linearità del testo. Oggi cercherò io di ricostruire, tuttavia è importante allenarsi a farlo; proverò ad ascoltare cosa il testo ha da dirmi. Mi colpisce subito una parola che non a caso è la parola finale: “Luce”. Ma qua siamo in piena notte, al buio, da dove arriva questa luce? Se pongo attenzione all’ottavo verso, trovo un’altra parola che mi trafigge: “speranza”, la quale, rovistando all’interno del poeta, ritrova un “fuoco” che ribolle all’interno di sé. Ecco che queste tre parole, “speranza, luce e fuoco”, vengono a costruire il trinomio fondamentale per comprendere l’immagine che questa strofa ci dona: all’interno della notte si risveglia qualcosa, qualcosa che nel buio sembra poter illuminare e dare speranza, fino a far nascere la luce. Ma che cos’è che si risveglia? Forse c’è un dettaglio di questa poesia a cui non abbiamo dato la dovuta importanza; tuttavia è proprio qua che esso arriva in nostro aiuto e delucida la nostra
comprensione: sto parlando del titolo. È proprio questo “segreto del poeta” che qua si risveglia, e questo segreto sembra essere proprio l’ispirazione poetica (e la conferma potrebbe stare nel testo, laddove si parla di “gesti terreni tanto amati che parvero immortali”), la quale risulta possibile solo nella misura in cui si è in grado di ascoltare sé stessi nel silenzio della notte. Ma allora questa notte che cos’è? L’assenza del dì? Oppure potremmo azzardare ad interpretarla come una condizione esistenziale caratterizzata dall’assenza di stimoli o di profonda tristezza? La domanda è sicuramente aperta. Potremmo interpretare l’immagine che la poesia rappresenta in senso materiale: il poeta che nella notte, in assenza di rumore, è in grado di produrre ascoltando il silenzio; oppure questa notte potrebbe essere la condizione interiore dell’autore (ma di riflesso anche del lettore in quanto egli partecipa attivamente al flusso di emozioni della poesia attraverso una circostanzialità unica) che viene illuminata dall’epifania della parola poetica. Tuttavia, scegliere sarebbe riduttivo e le due immagini non si contraddicono.
Questo è soltanto un tentativo. Ognuno potrebbe ricostruire un senso in modo unico. Tuttavia saremmo superbi se ammettessimo di aver esaurito il senso e il significato di questa poesia. Forse un significato ultimo non si da mai e la ricostruzione del senso è un processo infinito (e qua ci viene in contro Derrida, filosofo francese del XX secolo) in cui ognuno può dare il suo contributo. Questa dimensione comunitaria della poesia (e dell’arte in generale, potremmo dire) sembra essere il motivo per cui essa sia destinata a continuare a parlarci. Continuerà tuttavia a farlo, soltanto finché ci saranno orecchie disposte ad ascoltare.

* Gadamer è molto vicino alle tesi che abbiamo esposto fino ad ora. Anch’egli sostiene che il testo poetico ci parli (posizione a cui, nonostante tutto arriverà anche Derrida, nonostante la sua apparente avversione alle tesi di Gadamer) nella misura in cui esso è accessibile a tutti. Qua l’accento non è posto sull’accessibilità, bensì sulla possibilità di ricostruire un senso. Il senso si può ricostruire nella misura in cui siamo disposti, con la fatica della lettura, a dialogare col testo.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.