Il Treno della Memoria: un viaggio che segna l’anima

Ci sono viaggi che cambiano per sempre il nostro modo di vedere il mondo. Il 20 gennaio
2019, salii su un treno destinato a lasciare un segno indelebile nella mia memoria. Partii dalla stazione di Firenze, assieme a una delegazione di altri due ragazzi, per rappresentare il
Parlamento Regionale degli Studenti della Toscana. Insieme a noi c’erano centinaia di
studenti provenienti da svariate scuole superiori della nostra regione. Ma in quei vagoni non
c’erano solo adolescenti: ci accompagnavano anche rappresentanti della comunità ebraica,
Rom e Sinti di Firenze. Tra loro, in un vagone di testa, viaggiavano due signore anziane, il cui
volto, nonostante segnato da atrocità indicibili, ricordava quello di due bambine. Si trattava
delle sorelle Bucci.
Tatiana e Andra Bucci nacquero a Fiume, la prima nel 1937 e la seconda pochi mesi prima
dello scoppio del secondo conflitto mondiale. Nel 1944 furono deportate nel campo di
sterminio di Auschwitz-Birkenau insieme al cuginetto Sergio, che venne ritrovato impiccato a un gancio all’interno di una cantina di una scuola di Amburgo, adibita a centro di
sperimentazione. La loro testimonianza è raccolta nel libro Noi, bambine ad Auschwitz: le
sorelle Bucci, che consiglio a chiunque non lo abbia ancora letto.
La mattina successiva alla nostra partenza da Firenze, arrivammo alla stazione di Oświęcim.
Ogni volta che guardavo fuori dal fnestrino, vedevo solo alberi spogli coperti di neve e un
unico colore a pervadere il paesaggio: il grigio. Indelebile fu la visione del cancello del campo
di Birkenau, anch’esso ricoperto di neve e immerso in un silenzio irreale.
Durante la visita, una guida ci raccontò con estrema precisione il ciclo di morte che ogni
giorno, in modo seriale, quasi come in una catena di montaggio fordista, toglieva la vita a
migliaia di persone, le cui uniche “colpe” non erano mai esistite. Tra i racconti della guida
però, uno ancora oggi rimane ben presente nei miei ricordi, ovvero quello dell’amore
straziante delle madri per i propri fgli, che spesso, pur sapendo cosa sarebbe successo,
decidevano di accompagnarli alle “docce”, per non abbandonarli, non lasciarli soli ad un
destino segnato.
Tantissimi altri sono i ricordi che mi porto dietro da quel treno della memoria, come i segni
delle unghie, imploranti aiuto, presenti sui muri delle camere a gas del campo di Auschwitz I o ancora i disegni dei bambini, tra chi provava a sognare un mondo diverso e chi invece
descriveva ciò che gli accadeva intorno ma con gli occhi di chi non sa cosa sia il peccato.
In quei giorni avemmo anche il privilegio di incontrare un’altra testimone, Vera Vigevani
Jarach. La sua storia, però, non riguardava solo l’Olocausto. Nel 1939, la sua famiglia emigrò
in Argentina dopo aver appreso, durante un soggiorno a Viareggio, dell’entrata in vigore delle
leggi razziali fasciste. La sua testimonianza si intreccia con un altro orrore: la scomparsa di
sua fglia Franca nel 1976, una delle vittime della dittatura di Videla. Come una delle Madres
de Plaza de Mayo, Vera ci insegnò che il 27 gennaio non è solo una data per ricordare le sei
milioni di vittime dell’Olocausto, ma anche tutte quelle persone private del dono della vita e
della giustizia, ieri come oggi.
Mentre tutti noi, oggi, abbiamo in dono una responsabilità: quella della memoria. Sta a noi
custodirla, raccontarla e tramandarla, affinché l’orrore del passato non si ripeta mai più.
Ognuno, nel proprio piccolo, può contribuire a mantenere viva questa consapevolezza. Essa
deve continuare a vivere, per lottare contro ogni crimine affinché non rimanga impunito

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