Non si può certo negare che Elon Musk sia l’uomo copertina di questo periodo. Miliardario, innovatore, eccentrico (per essere gentili) è il perfetto esponente dell’ideale del progresso che attanaglia il mondo contemporaneo.
Agli antipodi di questa visione si trova un autore che ho incontrato nel mio percorso di studi, Walter Benjamin, ed in questo articolo vorrei presentare, in maniera breve, l’idea di progresso presente nelle sue tesi Sul concetto di storia.
Prima di procedere credo sia necessario fornire alcune coordinate temporali.
Benjamin vive nella prima metà del ‘900, è un autore di origine ebraica e si darà la morte nel 1940 a Port Bou, al confine tra Francia e Spagna, proprio mentre cercava di fuggire dalla Francia occupata, recandosi in Spagna per poter salpare alla volta degli Stati Uniti.
Questo testo, mai pensato per la pubblicazione, venne scritto proprio nel 1940, dettato dall’urgenza della sempre maggiore espansione delle potenze nazifasciste e dalla delusione dovuta dal patto Tedesco-Sovietico del 1939 che sancirà l’inizio della seconda guerra mondiale.
Il testo, pur risentendo degli sviluppi recenti dell’Europa dell’epoca, ha una gestazione quasi ventennale, con alcune tematiche che cominciano ad apparire fin dalla prima attività letteraria di Benjamin nel 1914.
Dunque in questo testo si intreccia l’urgenza, dettata dagli eventi, di mettere il testo per iscritto con una profonda riflessione ventennale sul tema che accompagnò Benjamin per tutta la vita.
Il testo, come ho detto, non fu mai pensato per la divulgazione, se oggi ne siamo in possesso è grazie ad alcuni opuscoli inviati da Benjamin stesso ai suoi amici più stretti i quali, a seguito della sua morte, decisero di pubblicare il testo come suo testamento filosofico.
Fornite le coordinate temporali necessarie, lascerei adesso la parola al testo di Benjamin, riportando la Tesi IX in maniera integrale:
“La mia ala e’ pronta al volo,
ritorno volentieri indietro,
poiché restassi pur tempo vitale,
avrei poca fortuna”
(Gerhard Scholem, Il saluto dell’angelo)
C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.
Il testo prende spunto da una descrizione allegorica del quadro Angelus Novus (che si vede nella foto) di Paul Klee, la stessa epigrafe (estratto da una lettera di Scholem inviata allo stesso Benjamin) riprende la descrizione del quadro.
L’angelo di Klee, tramite un’allegoria, viene trasformato nell’angelo della storia.
Lo sguardo dell’angelo, con il viso rivolto verso di noi, è rivolto al corso della storia, al passato.
Gli eventi passati sono qua rappresentati come un’unica catastrofe, un’insieme di rovine che continua a crescere. “Rovine” vanno intese nel senso più distruttivo del termine.
L’angelo si rende conto della catastrofe imminente ma non può aggiustare la storia perché spinto da una tempesta, identificata col progresso, che lo allontana dal paradiso e lo sospinge verso un futuro che non fa altro che accrescere le rovine di fronte a lui.
Il paradiso sembra poter essere per Benjamin l’ideale di società senza classi che si trovava all’inizio della storia, in alcune civiltà primitive e al quale si aspira a tornare tramite un movimento di riscatto della storia, di riscatto degli sconfitti della storia (per chi volesse approfondire può vedere l’idea di messianesimo in Benjamin).
Questo però contrasta con l’ideologia di progresso di stampo positivista che si è instaurata nella società, sin nelle sue componenti più rivoluzionarie.
Anche nei testi di Marx è presente una concezione della storia che volgerà a favore delle classi lavoratrici, gran parte dei partiti socialdemocratici dell’epoca sposavano questa visione che il progresso avrebbe portato gli uomini dalla loro parte, che alla fine sarebbero stati vittoriosi, lo sviluppo dell’industria avrebbe portato alla necessaria rivoluzione, i rigurgiti fascisti erano un semplice inciampo della storia.
La visione di Benjamin era diametralmente opposta, l’umanità incanalata sui binari del progresso va incontro alla tragedia, bisogna scardinare l’ideologia del progresso, il sorgere dei fascismi non era un semplice inciampo della storia ma era la diretta espressione di quell’ideale di progresso a cui è necessario opporsi.
La visione del progresso in Benjamin è una visione che potremmo definire catastrofista, sicuramente negativa e suona alquanto profetica se pensiamo che il testo viene scritto pochi anni prima di due delle pagine più buie della storia dell’umanità, i campi di sterminio nazisti e la bomba atomica.
Benchè oggi il mondo sia profondamente cambiato rispetto a quello di Benjamin, ancora oggi esiste un mito di fiducia nel progresso nel sistema nel quale viviamo che ci impedisce di metterlo in discussione, viviamo nel migliore dei sistemi possibili, lo sviluppo tecnologico sicuramente migliorerà la vita dell’uomo, se sulla terra finiranno le risorse in futuro colonizzeremo lo spazio.
Non solo le grandi aziende ma anche gran parte della società sembra aver fatto proprio questo ideale positivista del progresso, un progresso che non si può fermare e che sicuramente salverà l’uomo e ne migliorerà la vita, mostrandone una devozione quasi religiosa.
La tesi di Benjamin allora ci spinge ad un momento di riflessione sulla nostra contemporaneità e può aiutarci a riflettere attorno al tema del mito del progresso, fungendo da polo negativo alla nostra ideologia contemporanea.
Il progresso davvero ci renderà necessariamente un’umanità migliore?
