Il doppio standard europeo sulla giurisdizione della Corte Penale Internazionale
Lo scorso 21 novembre, la Corte Penale Internazionale (CPI) con sede all’Aja ha emesso un
mandato di arresto internazionale per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex
ministro della difesa Yoav Gallant e i leader di Hamas: Yahya Sinwar, Ismail Haniyeh, Diab
Ibrahim (deceduti) e Al Masri Mohammed Deif (anch’egli dichiarato morto da Israele, ma non
provato dalla CPI). Il mandato di arresto segue un’indagine aperta il 10 ottobre 2023, come
dichiarato dalla Corte stessa. Netanyahu è accusato di crimini contro l’umanità, tra cui
omicidio volontario, sterminio, uso deliberato della fame come arma di guerra e la negazione degli aiuti umanitari, tutte condotte indirizzate esclusivamente contro la popolazione civile.
Nonostante ciò, alcuni paesi europei, come Francia, Germania e Italia, hanno adottato
posizioni ambigue o contrarie alla possibilità di arrestare Netanyahu. Altri paesi, come
Irlanda, Paesi Bassi e Belgio, hanno dichiarato di voler rispettare gli impegni assunti come
frmatari dello Statuto di Roma. Questa divisione interna all’Unione Europea, in merito,
ancora una volta, a un tema di politica estera, rischia di essere più problematica di quanto
possa apparire. Per comprenderne la gravità è necessario partire con una spiegazione di
cos’è la Corte Penale Internazionale. La CPI è stata istituita con lo Statuto di Roma, firmato a
Roma nel 1998 ed entrato in vigore nel 2002. Questo documento è fondamentale per la Corte,
poiché definisce la sua giurisdizione, gli obblighi degli Stati firmatari e le procedure da
seguire. Lo Statuto è stato ratificato da 123 Stati, tra cui tutti i 27 membri dell’UE. Tuttavia,
molti paesi importanti, tra cui Stati Uniti, Cina, Russia e Israele, hanno scelto di non firmare lo Statuto, rimanendo fuori dalla giurisdizione della Corte. A questo punto, si potrebbe chiedere come mai la Corte abbia emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano e per Putin, se entrambi i paesi non hanno firmato la Carta. La risposta si trova nell’articolo 12 dello Statuto, che stabilisce che la Corte può esercitare la giurisdizione solo sui territori degli Stati firmatari a meno che uno Stato, non parte dello Statuto, accetti formalmente la giurisdizione della Corte per un determinato periodo. Pertanto, i crimini attribuiti a Netanyahu riguardano esclusivamente atti commessi sul suolo palestinese (la Palestina è parte dello Statuto dal 2015), mentre le azioni criminose all’interno dei confini israeliani non sono state prese in considerazione.
Per quanto riguarda l’Ucraina, la situazione è diversa. Sebbene Ucraina e Russia non abbiano
ratifcato lo Statuto, l’Ucraina ha concesso temporaneamente alla CPI la giurisdizione per
indagare sui crimini commessi dall’esercito russo sul suo territorio. Mentre per Putin la
maggior parte dei paesi europei ha rispettato il mandato di arresto, la stessa cosa non si può dire per Netanyahu. Il ministero degli Esteri francese, pochi giorni dopo l’emissione del
mandato di arresto, ha dichiarato che Netanyahu “gode di immunità” in quanto capo di
governo di un paese non firmatario. Tale dichiarazione contrasta fortemente con quella del
settembre scorso, quando la Francia espresse rammarico per il mancato arresto di Putin, che, come Netanyahu, è presidente di uno stato non firmatario, durante una visita in Mongolia che è invece uno stato firmatario dello Statuto e quindi obbligato, in teoria, ad arrestare il leader russo se si fosse trovato sul suo territorio.
Le dichiarazioni del ministero francese sull’immunità di Netanyahu sono problematiche per tre motivi. In primo luogo, come stabilito dall’articolo 27 dello Statuto di Roma, la CPI non riconosce l’immunità funzionale di alcun funzionario di governo. In secondo luogo, le condotte criminose imputate a Netanyahu riguardano esclusivamente il suolo palestinese, rendendo quindi ammissibile la giurisdizione della Corte. Infine, tali dichiarazioni contrastano con l’articolo 89 dello Statuto che prevede la piena collaborazione degli stati parte con la Corte, incluso l’arresto e la consegna delle persone ricercate.
Questo doppio standard europeo solleva seri interrogativi sulla visione dell’Unione Europea
come promotrice e guardiana del diritto internazionale. A differenza del diritto interno agli
Stati, il diritto internazionale è molto più complesso da far rispettare, poiché non esiste un
organo sovranazionale in grado di imporlo in modo uniforme. Come sottolineato da Max
Weber, “il monopolio della forza è necessario per il rispetto del diritto”. Senza una forza di
polizia globale, il rispetto del diritto internazionale dipende dalla volontà degli Stati di
rispettarlo, che spesso entra in conflitto con i loro interessi. Inoltre, non è realistico aspettarsi che uno Stato agisca contro i propri interessi per il rispetto di un diritto che, negli ultimi anni, è sempre più ignorato. Se a ciò si aggiunge che paesi come Francia, Germania e Italia, principali attori dell’UE, utilizzano il diritto internazionale solo quando conviene loro, rischiamo di compromettere uno degli ultimi strumenti per prevenire conflitti mondiali, che, come recentemente sottolineato dal presidente Mattarella, oggi sono giunti al numero di 56. Il più alto dal termine della Seconda Guerra Mondiale. L’Unione Europea si trova oggi di fronte a un bivio: emergere finalmente come paladina del diritto internazionale, diventando una potenza regolatrice globale, o rimanere un’ombra di sé stessa, limitata a proclamare principi ormai vuoti, ma sempre meno applicati.
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