Piccolo reportage dalla Biennale d’Arte di Venezia 2024
Prima di tutto, un consiglio; se non hai mai visto la Biennale d’Arte di Venezia, metti in programma una gita a Venezia per l’edizione 2026. È un evento che lascia sempre il segno. Frequento i suoi padiglioni da parecchi anni e non ricordo di esserne uscito deluso nemmeno una sola volta. Il motivo è che, girando nei vari stand nazionali, ti troverai di fronte alle più svariate forme di arte, quindi di pensiero, di critica sociale, di emozioni, di grande bellezza e di shock culturali intensi e ripetuti. Mi piace descriverla anche così; la
Biennale prende i neuroni dei visitatori e li scrolla con forza, cambiando il loro modo di pensare. Per questo è facile che dopo essere usciti si provi una specie di leggera ubriacatura o vertigine.
Ma veniamo all’ultima edizione, che è terminata il 24 novembre. Già dal titolo “Stranieri ovunque” rivela una presa di posizione netta, soprattutto in questi tempi di grandi migrazioni forzate dovute a cause climatiche, belliche ed economiche. Ma c’è di più. In realtà ciò che la biennale trasmette con le sue installazioni, è l’idea che siamo tutti stranieri, per svariati motivi. È straniero anche l’artista stesso/a, nel momento in cui viene sentito come diverso da chi non lo capisce. Non importa se abita nella casa accanto.
Erano e sono stranieri anche i colonizzatori che da oltre due secoli arrivano in un territorio che non è il loro, saccheggiando risorse, deportando le persone che vi vivono e appropriandosi persino dell’arte indigena.
Nel padiglione del Brasile sono ospitati dei mantelli rituali, fatti di piume di uccelli e di altri materiali, che nelle intenzioni dei creatori hanno un significato magico e rituale. Ebbene, gran parte di questi manufatti sono oggi custoditi in strutture occidentali. Tanto che, tra i pochi mantelli visibili nel padiglione brasiliano, si può leggere la lettera inviata al Vaticano, con la richiesta di restituire il mantello che vi è stato spedito molti anni fa dai missionari italiani. Ma il padiglione che mi ha colpito nel profondo è stato quello olandese.
Ospita una serie di sculture che documentano l’invasione del territorio congolese da parte di un’azienda europea; la Fratelli Lever, oggi Unilever. A causa dell’utilizzo di olio di palma per svariati prodotti alimentari, migliaia di ettari di bosco furono abbattuti per fa posto a coltivazioni intensive di palme, stravolgendo, non solo l’ecosistema naturale, ma anche la vita degli abitanti. Oggi le coltivazioni di palme sono state dismesse negli appezzamenti riscattati dal collettivo artistico, ma ci vorranno molti anni prima che il territorio torni
alla sua conformazione originaria.
Ecco il testo della presentazione ufficiale:
“The International Celebration of Blasphemy and the Sacred (La Celebrazione della blasfemia e del Sacro) è una presentazione del collettivo di artisti congolesi Cercle d’Art des Travailleurs de Plantation Congolaise (CATPC) per la 60a Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia. Creata in collaborazione con l’artista Renzo Martens e il curatore Hicham Khalidi, mette in luce l’impegno del CATPC nel recuperare le terre delle piantagioni esauste e nel ripristinare la Foresta Sacra, insieme alla loro più ampia missione di resa dei conti spirituale, etica ed economica. La mostra è commissionata dal Dutch Mondriaan Fund
La rassegna comprende statue create con materiali recuperati dalle lavorazioni dell’olio di palma, soprattutto mostri simbolici, ma anche raffigurazioni dei colonizzatori. A titolo di esempio, eccone la descrizione che ne fa il collettivo d’arte CATPC.
CATPC (Jérémie Mabiala e Djonga Bismar), Raccolta fondi / Il collezionista d’arte, 2015

Il collezionista d’arte è un personaggio ricorrente nel nostro lavoro. In questa scultura, il collezionista d’arte si trova di fronte a una scelta difficile: condividere la sua ricchezza, un’opzione simboleggiata dai tralci e dai fiori che si intrecciano attorno a lui, oppure tenerla per sé, come suggerito dal serpente che allunga la lingua. L’opera è un messaggio per tutti coloro che hanno i mezzi per acquistare le nostre sculture.
CATRO (Muyaka Kapasa), L’Argent et la Bête / Money and/is the Beast (Il Denaro e la Bestia),

Nella nostra comunità, gli animali possono essere usati per rappresentare situazioni sociali o politiche difficili. Qui, uno stagno è infestato da un kasendele nzundu, un ratto gigante, che massacra tutti i pesci. Il roditore simboleggia il potere delle banche, mentre i pesci rappresentano l’accumulo di ricchezza nel Nord del mondo. Il ratto gigante è una bestia autoritaria che fa ciò che vuole.
CATPC (Irene Kanga),Amour Force / Forced Love, (Amore violentato)

Kanga collega la sua esperienza personale a un evento storico: lo stupro della donna Pende Kafutshi da parte di un colonialista belga nel 1931, nel mezzo di una delle tante campagne brutali per radunare con la forza gli uomini per i lavori forzati nella piantagione dei Lever Brothers a Lusanga.
In un collegamento video dalla città congolense di Lusanda gli artisti lamentavano la disparità esistente tra i visitatori della Biennale e la loro condizione, comunque ancora emarginata, tanto da non permettere loro di partecipare di persona a Venezia per via dei costi, impossibili da sostenere.
Un altro effetto nefasto della colonizzazione, avvenuta a livello planetario è stata ed è l’imposizione di un modello culturale e sociale che non ha nulla a che fare con le culture autoctone, come la forzata evangelizzazione di intere popolazioni, raccontata da numerosi artisti indigeni.
C’è poi un ulteriore emarginazione verso le persone che vivono una sessualità diversa in vari paesi, occidentali e non. Chi è emigrato a causa di qualche forma di persecuzione si trova dunque ad affrontare di nuovo altre discriminazioni, non solo in quanto immigrato/a, ma talvolta perché omosessuale, perciò percepito/a come alieno/a.
Esiste inoltre una modello di colonizzazione che di solito non siamo in grado di riconoscere, com’è ben descritto nel padiglione serbo.
Eccone la presentazione e il link ad alcune immagini:
“Il titolo della mostra, Exposition coloniale, rievoca le conseguenze dell’epoca coloniale. A partire da questo contesto storico, Denić esplora le ramificazioni contemporanee del colonialismo e l’impatto continuo della divisione e della sottomissione di popoli e culture. Nel mondo di oggi, i temi dell’usurpazione, della divisione e del controllo continuano a essere pertinenti, non solo negli ambiti della politica e della finanza, ma anche nella sfera dei valori e dei principi umani fondamentali. Attraverso la sua esperienza artistica in teatro, Denić ha utilizzato le proprie capacità per approfondire questioni complesse e urgenti. Elaborate strutture e conglomerati spaziali sono intrisi delle ansie della società in cui esistono. Fungono da cimeli sociali, catturando l’essenza del soggiorno umano e riflettendo la sensibilità perduta e l’intimità delle nostre interazioni al loro interno. Utilizzando un’inversione simbolica all’interno della mostra, sfida gli spettatori a riesaminare la loro comprensione delle dinamiche di potere, del consumismo e delle molteplici “amare” realtà nello stato attuale delle cose; ritrovandosi personalmente, da straniero, come artista professionalmente “sfollato” permanentemente in Germania e nelle aree di lingua tedesca, dove ha operato negli ultimi decenni.”
Nell’allestimento di Denić siamo invitati a riflettere sui modelli di consumo e sullo stile di vita che ci contraddistingue, caratterizzato dall’omologazione ai poteri dominanti in occidente.
Qui il collegamento per le immagini:
https://www.labiennale.org/it/arte/2024/serbia
