Un giorno di maggio a Viareggio /1

Di seguito il racconti che Andrea Genovali fa delle giornate rosse di VIareggio. Uno dei momenti più significativi del biennio rosso in Italia e per molto tempo dimenticato. Domani la seconda parte

2 Maggio 1920: Nasce la Repubblica Viareggina

Le donne dalle finestre prospicenti l’area di Villa Rigutti, dove sorge il campo sportivo, hanno visto tutto con i loro occhi. Sono proprio loro le prime a comprendere l’atrocità di quel gesto con il quale un carabiniere ha ucciso a freddo e senza motivo Augusto Morganti con un colpo di pistola sparato a bruciapelo, e danno inizio alla rivolta. Sono loro che gridano contro i carabinieri. Che urlano contro un altro morto. Un altro di loro. Urlano contro la violenza delle forze dell’ordine e iniziano a chiedere giustizia. Gettano dalla finestra all’indirizzo dei carabinieri fuggiaschi qualsiasi cosa capiti loro a tiro. Urlano ai loro uomini di correre alla caserma dei carabinieri in via Regia per chiedere che l’assassino sia arrestato e risponda del suo delitto. Chiedono giustizia per il male che ha fatto a una persona innocente.

Si forma un corteo improvvisato di uomini e donne inferociti. La distanza fra il campo sportivo e la caserma è di oltre un chilometro. Le urla e il rumore lo si avverte in largo anticipo nel silenzio del pomeriggio domenicale viareggino.

Le persone si affacciano alle finestre, al terrazzo o sulla porta. Alle domande di quest’ultime i manifestanti spiegano con parole accorate la tragedia che si è consumata. Le donne si chiamano per nome per convincere anche le più restie a scendere in strada con loro. Poteva esserci uno dei loro figli esangue alla Croce Verde al posto del Morganti. Non aveva fatto niente di male. Era solo una partita di calcio. Le scazzottate c’erano sempre state. Perché uccidere? Perché uccidere? si domandano ripetutamente senza una risposta razionale da darsi. Le più politicizzate urlano che è il potere. L’arroganza del potere. Dei militari.

Come in Piazza Grande qualche settimana prima: che bisogno c’era di caricare pacifici cittadini che discutevano del loro futuro? Oppure come quando li hanno assediati per una settimana solo perché avevano scioperato in solidarietà con altri uomini e donne che si erano ribellati in Ungheria e Russia.

Domande che surriscaldano ancora di più il sangue. Si dirigono verso la caserma. Qualcuno, nel frattempo, ha azionato la sirena installata da tempo nel palazzotto comunale, dove pure sono alloggiate alcune classi della scuola elementare. Il lancinante suono della sirena, che graverà sulla città per un tempo apparentemente interminabile, scuote e solleva quello che covava da tempo. La favilla del fatto occasionale è ora fuoco che divampa da un capo all’altro della città. Il corteo procede con determinazione e rabbia. In molti decidono di accodarsi. E il corteo si ingrossa e ruggisce il suo dolore, come un animale ferito. Giovani e anziani. Uomini e donne.

È il popolo aduso alla fatica e alla sofferenza che adesso ha deciso di dire basta. La notizia dell’assassinio del Morganti si espande in città. È un passa parola che coinvolge in pochi minuti Viareggio in quel sonnecchiante tardo pomeriggio di una domenica di maggio come tante. Almeno fino a quello sparo. È una protesta non organizzata che nasce dal profondo dell’animo della città operaia e marinara. Una protesta che nasce da un innato senso di giustizia insito nelle viscere più recondite di un popolo di naviganti e costruttori di velieri. E poi sono davvero stanchi di essere perseguiti e colpiti senza ragione dalle forze dell’ordine. Per quel popolo la misura adesso era colma.

Il corteo arriva alla caserma dei carabinieri in via Regia. I militari sono assediati. Viene chiesto a gran voce che gli consegnino l’assassino del Morganti. Intanto viene occupato palazzo Cittadella, sede del municipio ed esposta la bandiera nera degli anarchici. Vengono tagliati i fili del telegrafo e quelli telefonici e interrotto il servizio tranviario, ostacolata l’illuminazione pubblica. Tafferugli si accendono anche alla stazione dove un gruppo di insorti, armi in pugno, sta minacciando degli agenti ferroviari intimandoli di bloccare tutti i treni che provengono da Genova e da Pisa. L’on. socialista Policarno Scarabello , presente in città per altri motivi, sta cercando di convincere gli agenti ferroviari a non porre ostacoli inutili.

I carabinieri adesso sono assediati nella loro caserma da una folla comprendente numerosissime donne, rispondono sparando alcuni colpi di fucile in aria. Questo esaspera ancor di più la popolazione. Qualcuno risponde con qualche colpo di rivoltella, altri lanciano sassi.

In strada sono presenti tutti: anarchici e socialisti, senza partito e popolari perché in fondo il Morganti non era uno di loro?

Gino Sartori, Commissario regio della città che dal 1919 amministra il comune di Viareggio, dopo una crisi dell’amministrazione, avuta notizia dei fatti e, prima di essere defenestrato, dispone immediatamente l’invio di un contingente di militari e richiede consistenti rinforzi al Ministero degli Interni.

Nel frattempo, alcuni corrono verso il balipedio. Impongono ai pochi militari presenti di innalzare la bandiera a mezz’asta in segno di lutto. Un gruppo di 200 persone circa va al Tiro al segno nazionale e si fa consegnare 16 fucili modello 91 (senza otturatori); 2 carabine Flobert; 1 fucile a due canne a bacchetta,1 carabina Winchester e 54 caricatori per il fucile modello 91.

Un altro gruppo si dirige verso la caserma del 32° Artiglieria nei pressi della torre Matilde, non lontano dalla casera dei carabinieri e dalla sede della Camera del Lavoro. Entrano nel cortile e chiedono che gli vengano consegnati le armi. Il tenente Palamenghi, al comando della caserma, dopo breve trattativa acconsente che vengano consegnati loro degli otturatori per il modello 91 e dei moschetti. Il tutto senza incidenti.

Nella sua relazione, dopo la conclusione dei fatti, il generale Pecori Giraldi scrive che: “(…) il Palamenghi avrebbe potuto facilmente disperdere la folla. Aveva una mitragliatrice sopra un terrazzo di fronte alla porta e sotto di essa schierato in armi tutto il reparto”. Nella relazione del generale il giudizio sull’operato del tenente sarà sprezzante e durissimo, per lui avrebbe dovuto disperdere la folla e non consegnare nessun materiale militare.

Fatto sta che le cose sono andate che il Palamenghi consegnò otturatori e moschetti. Molto probabilmente i soldati di leva si sarebbero rifiutati di eseguire un ordine così violento, memori sicuramente del gesto di solidarietà che la CdL il giorno prima, Primo maggio, gli aveva fatto. I sindacalisti avevano portato ai soldati cibo e vino per festeggiare la ricorrenza. In un primo momento il tenente aveva respinto l’offerta e solo dopo l’intervento del Commissario di P.S. che aveva spiegato l’inutilità di quel gesto al Palamenghi il graduato aveva cambiato idea e accettato il dono. E anche questo gesto sarà motivo di dura reprimenda da parte del generale contro il tenente.

Durante la rivolta questo atteggiamento dei rivoltosi di offrire cibo e vino ai militari avverrà molte volte. E proprio grazie a questa generosità molti soldati

simpatizzeranno con la popolazione viareggina in rivolta. In fondo erano soldati di leva, molto spesso figli di famiglie contadine e operaie e soprattutto lontani da casa, e sicuramente questi gesti di amicizia, tipici sia della cultura contadina che marinara, li avranno fatti sentire un po’ a casa propria.

Ma il direttore del Libeccio, giornale locale, Tonelli ci tiene a evidenziare certamente il buon cuore dei viareggini ma anche che poco dopo la morte del Morganti, in piazza del mercato l’avvocato Salvatori, Manlio Baccelli segretario della CdL e l’on. Policarpo erano intenti ad arringare la folla affermando che il Morganti sarà vendicato. Ovviamente è una ricostruzione del tutto inventata dal Tonelli in quanto Salvatori quel pomeriggio era in Lunigiana a tenere dei comizi e tornerà a Viareggio solo in tarda serata dopo che era stato avvisato dei fatti.

Verso sera il comandante del Balipedio, il capitano Fumagalli, rientra in caserma. I rivoltosi adesso sono armati e, dopo aver fatto chiudere tutti i negozi, sparano alcuni colpi contro la caserma dei carabinieri. Alcuni pare abbiano lanciato all’interno del cortile due bombe a mano di cui una esplode senza procurare danni a cose o persone.

Alcune donne tentano di dare fuoco alle scuderie della caserma incendiando taniche di benzina, ma senza successo. Dalle finestre della caserma i carabinieri aprono di nuovo il fuoco con alcuni colpi per cercare di disperdere la folla. Ma i rivoltosi si disperderanno solamente per l’intervento del deputato socialista Policarno Scarabelli.

FINE PRIMA PARTE

A. Genovali

Andrea Genovali è nato a Viareggio nel 1966, e laureato in Scienze Politiche. Ha ricoperto ruoli dirigenziali nella società del Parlamento Europeo IRIS srl, dal 1999 al 2015.

Scrittore e sceneggiatore ha al suo attivo ventuno libri fra saggi storici, narrativa e poesia. Ideatore e presidente di Premi letterari nazionali dedicati alla cultura migrante in Italia, come il Marenostrum di Viareggio per 9 anni e il Prato CittAperta di Prato per 4 anni

Ha operato anche nell’ambito artistico-organizzativo della più antica galleria d’arte moderna privata italiana “La Bottega dei Vàgeri” di Viareggio.

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