La Giovane Ebrea al Suo Amato Musulmano

A ormai più di un anno dall’inizio del conflitto in Medio-Oriente (per quanto molti avranno da ridire su questa introduzione e non a torto) la situazione sembra non voler trovare un risvolto.

L’obbiettivo di questo articolo non è prendere le parti di nessuno, men che meno offrire un quadro sulla situazione geo-politica, la quale richiederebbe uno studio paziente ed approfondito.

In questi giorni mi sono ritrovato a riflettere in merito alla guerra israelo-palestinese, non provando a comprendere le ragioni politiche e religiose che la fondano, bensì tentando di immergermi, per quanto mi è risultato possibile, nella prospettiva dei civili, i quali quotidianamente convivono con l’incertezza del domani.

Già nel 2003, all’età di quasi novant’anni, il poeta italiano Mario Luzi rifletteva sulle atrocità del Medio-Oriente. A tal proposito, un’opera teatrale di Beppe Menegatti (scomparso poco meno di un mese fa) intitolata Giulietta e Romeo a Gerusalemme, offre a Luzi l’occasione per scrivere una serie di testi, monologhi, (definiti da lui <parlate>, espressione che da il nome alla raccolta da cui sono tratte), che mettono in scena la situazione della guerra vista dalla prospettiva di genitori ed amanti sofferenti.

Queste poesie di Luzi risultano perfettamente funzionali al tema di questo articolo, il quale non vuole offrire una prospettiva politica, bensì far riflettere sui rapporti interpersonali incerti esperiti dai civili, costretti a convivere tra atrocità e terrore, avvolti dalla paura di non riuscire a rivedere i propri cari.

La poesia di oggi parla di amore, il topos poetico per eccellenza; lo fa cercando di immaginare una donna ebrea innamorata di un uomo musulmano.

La giovane ebrea al suo amato musulmano

C’è una pozza di sangue tra te e me.

Mio Dio, chi l’ha versato?

chiunque sia stato,

caro, è sangue sprecato.

Ma io so che l’amore

mio, se mi aprirai le braccia,

potrà vederlo asciugato.

Vieni, non tardare.

Nella prima parte il lamento è straziante; il primo verso potrebbe essere tratto dalla scena centrale di un racconto dell’orrore. Ma è proprio l’orrore che Luzi vuole rappresentare, cercando contemporaneamente di mettere in scena sia il conflitto armato (per quanto questo rimanga sullo sfondo), sia l’impossibilità dell’amore che ne deriva. I due amanti, come si evince dal titolo, appartengono a due schieramenti diversi, e il sangue che li separa ne impedisce il ricongiungimento.

Ma questo sangue è sprecato, inutile, ingiustificato e potrà dissolversi soltanto grazie alla forza di un abbraccio, o in senso più generale, aprendosi all’altro.

La poesia si chiude sollecitando a non sprecare più altro sangue e a lasciarsi trasportare il prima possibile dalla forza dell’amore: <Vieni, non tardare>.

Potrei concludere quindi definendo questa poesia di Luzi ossimorica, ovvero caratterizzata da un contrasto presente nel testo: comincia infatti con l’orrore e si conclude con una promessa d’amore, rappresentata qua dal ricongiungimento dei due amanti: il calore di un abbraccio, contrapposto al freddo sangue versato.

Adesso risulta chiaro come questa poesia, così come le altre che la accompagnano di cui consiglio la lettura (per la bellezza e per la brevità), sia particolarmente adatta per la riflessione che ci eravamo proposti all’inizio di questo articolo: riflettere non sul conflitto in sé, ma sulle sofferenze dei civili gettati in una carneficina contro ogni volontà, tema a cui, probabilmente, non si presta mai abbastanza attenzione.

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