Ikram tornò a casa quasi al tramonto, dopo aver lavorato tutto il giorno in un villaggio lontano da Karnak per documentare la produzione locale di grano. Siptha, il faraone, non tollerava nemmeno il più piccolo errore e il povero scriba aveva dovuto restare seduto tutto il giorno sotto una tenda, senza il conforto di un po’ di venticello o di una buona coppa di sidro. Comunque, era soddisfatto. Aveva controllato i conteggi per tre volte e il risultato era sempre lo stesso. Mangiò un piatto di lenticchie e si concesse anche un paio di fichi dolcissimi, poi andò a dormire. Ma il sonno faticava ad arrivare. Ikram si vedeva turbinare davanti agli occhi chiusi mille geroglifici. Sapeva che non aveva senso leggerli, dato che erano evanescenti e privi di logica, eppure, lo faceva. E rimaneva sveglio. Si rigirò sulla stuoia varie volte. Infine, riuscì ad addormentarsi. Quella notte, sognò di trovarsi in una grande sala con strani armadi ronzanti. Stava scrivendo, di nuovo. Però non i soliti simboli, che ben conosceva. Faceva solo due segni. Uno significava “uno” e l’altro significava “niente”. Qualcosa che c’è e qualcosa che non c’è. Era assurdo. Mentre cercava di trovare una ragione per quel lavoro folle gli si avvicinò un uomo che portava due cerchi sugli occhi, tenuti in posizione da due bastoncini che finivano dietro le orecchie. L’uomo gli parlò amichevolmente. Era soddisfatto dell’opera e disse che quello era il linguaggio del futuro. Subito dopo, con la bizzarria tipica dei sogni, Ikram comprese. Quei due segni avrebbero presto sostituito qualsiasi forma di scrittura. Non solo. Gli scribi che sapevano usarli sarebbero diventati una casta potente e segreta, capace di dominare il mondo intero. Si svegliò madido di sudore e la prima cosa che fece fu prendere in mano lo stilo e una tavoletta, sulla quale qualche giorno prima aveva cercato di vergare una poesia.
Carlo Alberto Turrini