Gioventù cannibale

Pubblicato nel 1966 da parte di Einaudi, a cura del saggista ed editor Daniele Brolli, “Gioventù cannibale”, libro molto riuscito nel panorama della letteratura di genere del bel paese, è un’antologia che raccoglie dieci racconti di autori italiani, che esplorano il genere pulp in maniera molto diversa tra loro, riuscendo, chi più e chi meno, a regalare un quadro piuttosto sconfortante della nostra società.

Tra questi intellettuali spiccano personalità del mondo letterario e della comunicazione come: Niccolò Ammaniti e Luisa Brancaccio, Alda Teodorani, Aldo Nove, Daniele Luttazzi, Andrea G. Pinketts, Massimiliano Governi, Matteo Curtoni, Matteo Galiazzo, Stefano Massaron, Paolo Caredda, la maggior parte dei quali al proprio esordio letterario. Altri scrittori che per tematiche e linguaggio si possono accostare a questa corrente sono: Giuseppe Caliceti, Enrico Brizzi, Tiziano Scarpa e Isabella Santacroce. Questi narratori giocano con la scrittura, sperimentano nuovi codici: frasi corte, scene violente, personaggi dalla psicologia impenetrabile e complessa e situazioni grottesche che sfiorano il limite del verosimile. Ai modelli letterari, che comunque rimangono prevalentemente americani, adorano Stephen King e Joe Lansdale, vengono preferiti i nuovi media: televisione, fumetti e videogames che questi autori conoscono moto bene ed a cui la loro scrittura si ispira. Quello che ne viene fuori è una letteratura diversa rispetto alle correnti precedenti per linguaggi e tematiche, un fenomeno sociologico oltre che letterario, perché è dalla società che vengono attinti trame e linguaggi narrativi, che poco hanno a che fare con l’italiano alto. Anche le citazioni, dove ci sono, vengono ripescate nella cultura popolare, negli spot pubblicitari, nei film, nei cartoni animati e nei video giochi. Questo accade perché questi scrittori sono nati, per la maggior parte, verso la fine degli anni ‘60, in pieno boom economico e quindi sotto il segno della televisione e del consumo sfrenato. Non è un caso dunque che questa generazione di autori utilizzi il linguaggio della pubblicità, il turpiloquio dei talk show televisivi, o le espressione gergali comuni tra le bande di quartiere e che, al posto di descrizioni paesaggistiche evocative, vengano preferiti spazi come cinema, grandi magazzini e centri commerciali. Da ciò si evince che il genere pulp, definito da molti critici bacchettoni una “moda”, è invece una tendenza della società attuale, che trova sempre più spazi tra diversi generi artistici, pittura, letteratura, musica, cinema, fumetto. Non sono spazi autonomi, ma comunicanti, che favoriscono l’interazione tra le arti, quasi a sottolineare un’aspirazione alla multimedialità che, nell’epoca dei computer e di internet, sta pian piano cambiando il modo di fruizione dell’opera stessa.

Elio Marracci

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